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Il sof sui binari

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Un uomo, descritto come un manager, con la fedele valigetta nera sale di corsa su di un treno e prende posto accanto al finestrino, potrebbe essere l’inizio di un romanzo o di racconto come tanti. Invece il sentore di essere un romanzo si eclissa subito e il tutto diventa assolutamente “fuori dal comune”. Il manager si accorge di avere completamente perso la memoria e si ritrova come compagno di viaggio uno strano essere, un alieno, con cui a dispetto di tutte le convenzioni, si ritrova a familiarizzare. Anche perché, il cosiddetto mostriciattolo e il manager, sono gli unici passeggeri del convoglio lanciato, fra paesaggi di cartapesta, verso un luogo sconosciuto, che non si sa dove potrebbe essere, definito nessundove o chissàdove. Il treno comincia a rallentare e si ferma alla stazione di * alias chissàdove e i due possono scendere. L’atmosfera è densa di nebbia e il manager comincia a vagare lungo i binari, incontra un uomo seduto proprio sui binari, comodamente spaparanzato su di un divano mentre si sbronza bevendo rum. Il libro continua mettendo in atto incontri paradossali, in cui il manager passa da momenti di lucidità totale ad altri di assoluta mancanza di senso, incontra il grande amore, lo perde, finisce in ospedale. A un tratto ritrova la memoria sparita, sembra rientrare nel solco della normalità ma accade un’ulteriore sfasatura… e così via sulle ali della follia e dell’invenzione più pura.

È la follia a dare un senso alla lettura del romanzo, quella follia che fa improvvisa irruzione nell’esistenza delle persone e trasfigura la realtà rendendola qualcosa di nuovo e ignoto, tuttavia perfettamente reale per chi la vive. Così, quando si intraprende il viaggio sulle ali della follia, appare del tutto normale parlare con un alieno, incontrare la Flora del Botticelli o, addirittura, vedere il proprio doppio maciullato dalle ruote di un treno. Così come è del tutto normale incontrare la propria moglie, salire a bordo della sua auto e girare per le strade di Pavia. E tutto è perfettamente normale e convive: sogno utopico e realtà, e laddove il sogno è preferibile alla realtà la mente fa di tutto per rendere l’utopia tangibile e collocarla al posto della realtà. Operando simile capovolgimento la realtà di prima diventa il sogno di dopo e viceversa.

Durante la lettura, per lunghi tratti, ho avuto in mente anche un’altra lettura, sicuramente influenzato dalle prime pagine scandite dalla consapevolezza dei due protagonisti di trovarsi dentro un romanzo. Il viaggio in treno rappresenta proprio la creazione artistica, i due personaggi non hanno memoria, sembrerebbero totalmente estranei tra loro e addirittura uno sta lì senza alcuna ragione, senza che ciò sia possibile nella realtà. Ma è assolutamente possibile per le infinite possibilità che la scrittura pone di fronte all’autore. I due a un certo punto sono di fronte al pubblico, forse sono i lettori, e si dicono che il fare domande è quel che conta, non le risposte. Infatti, un autore generalmente attraverso quel che scrive, pone delle domande, e attira così i lettori. I testi che danno già tutte le risposte, per contro, suscitano forse meno interesse, non si fanno ricordare. Anche il fatto che la stazione sia contrassegnata da * è tipico del linguaggio romanzesco, spesso si incontra l’asterisco quando un nome resta celato, per pudore, o perché non conta, in fondo ciò che conta è quanto succede. E così, lungo il romanzo, sembra di vivere in prima persona all’interno di un processo creativo, sembra di essere nella mente dello scrittore mentre mette in scena le vite dei personaggi, inclusi le varie possibilità e i vari tentennamenti, un personaggio deve restare in vita oppure deve morire? Una nota sulla misteriosa cartella che il manager porta sempre con sé, il contenuto è ovviamente misterioso, contiene forse la vita, o la memoria persa, oppure la morte. Io ho avuto l’impressione che nella valigetta stesse il manoscritto completo del romanzo stesso, e che, una volta visto, avrebbe potuto mettere fine alle infinite possibilità di sviluppo della realtà.

A ben pensarci, le due chiavi di lettura non si escludono tra loro, la creazione artistica rende folli e rende demiurghi, forse i personaggi sono stati creati dalla mente dell’autore ma sono fuggiti nel mondo delle possibilità, mentre lo scrittore sta pensando in che mondo collocarli, sono provvisoriamente collocati su uno sfondo bianco di fitta nebbia. Oppure lo scrittore e i suoi personaggi si confondono tra loro in un continuo scambio di realtà e invenzione. Insomma, questo è un romanzo inafferrabile, lascia tantissime possibilità aperte: quando una domanda ha una risposta, è sempre la risposta a vincere sulla domanda … Sono, allora, solo le risposte che si ricordano, non le domande. Quindi quelle non sono delle vere domande, ecco, bensì delle comunissime risposte … Con tanti giri di parole vorresti convincermi che bisogna fare domande senza risposta per attirare l’attenzione? E io credo che, nel gran numero di domande senza risposta che costellano la mente di chi legge questo libro, c’è da tenere ben desta l’attenzione.

La scrittura di Caterina Davinio è sempre controllata e velocissima nel costruire scene, smontare fondali, preparare colpi di scena senza sbavature. I dialoghi sono serrati e mai banali, aprono sempre spiragli di riflessioni o portano rimandi e citazioni. L’elemento centrale del romanzo, il treno, è reso presente con il particolare timbro stilistico che evoca lo sferragliare sui binari, le accelerazioni e le lunghe frenate tipiche del veicolo.

Un romanzo avvincente e accattivante, che lascia aperte tante possibili letture e pone di fronte a interrogativi, soprattutto su cosa faccia parte veramente del sogno e cosa della vita reale e, in questa ambivalenza, per cosa vale davvero la pena vivere: e anche se, di sicuro, questo non è il modo giusto di ragionare: è da uomini senza ritegno, senza senno e senza morale, ciò, ai fini della mia futura felicità, ciò è assolutamente irrilevante…

 

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